Quando parliamo di traffico diretto in Analytics si hanno sempre fondamentalmente due idee sbagliate. La prima è che sia causato quasi esclusivamente dagli utenti che digitano un indirizzo nel loro browser (o cliccando su un segnalibro). La seconda è che si tratti di una brutta cosa, non perché abbia un evidente impatto negativo sulle prestazioni del sito, ma piuttosto perché diventa difficile da analizzare.

L’atteggiamento prevalente tra i digital marketer è che il traffico diretto sia un inconveniente inevitabile; di conseguenza, la discussione del traffico direct è tipicamente limitata ai modi di attribuirlo ad altri canali, o di aggirare i problemi ad esso associati.

Prendendo spunto dall’articolo di Tom Bennet, vedremo quindi come esplorare la grande quantità di modi in cui i dati di riferimento possono essere persi e le soluzioni ad usare immediatamente per ridurre i livelli di traffico diretto nei vostri rapporti di Google Analytics.

Quando Google Analytics decide che si tratta di traffico diretto?

Iniziamo intanto con il chiarire alcune concetti. In breve Google Analytics segnala una fonte come traffico di “diretto” quando non ha dati su come la sessione sia arrivata al tuo sito web. Si può pensare al traffico diretto come opzione di ripiego di Google Analytics ogni volta che la sua logica di elaborazione non riesce ad attribuire una sessione ad una particolare fonte per mancanza di riferimenti.

A grandi linee, l’elaborazione di Google Analytics segue questa sequenza di controlli:

  1. Parametri AdWords standard (gclid/gcslrc)
  2. Parametri aggiuntivi delle campagne (source, medium, campaign eccc..)
  3. Parametri UTM
  4. Referrer da motore di ricerca
  5. Referrer da un altro sito web
  6. Click su Campagna sessione precedente
  7. Diretto


Notate il penultimo passo di elaborazione (Click su Campagna sessione precedente), la quale ha un impatto significativo sulla riduzione delle sessioni attribuite al canale diretto. Facciamo un esempio, considerate un utente che scopre il vostro sito tramite la ricerca organica, poi ritorna direttamente una settimana dopo perché si è salvato il link. Entrambe le sessioni verrebbero attribuite alla ricerca organica in quanto i dati delle campagne persistono fino a sei mesi per impostazione predefinita. E’ chiaro quindi come già Google Analytics cerchi di minimizzare l’impatto del traffico diretto.

Escluso quindi il classico scenario di traffico “vero” diretto nel quale un utente digita un URL nella barra degli indirizzi del suo browser o clicca su un segnalibro salvato, vediamo di capire quali altre ragioni possono generare traffico diretto e come eventualmente correggere tale dato.

Come limitare il traffico diretto sul tuo e-commerce

  • Codice di tracciamento mancante o rotto
    E’ importante che il codice Analytics sia presente in tutte le pagine, infatti se un utente entrasse in una vostra pagina o landing sprovvista di codice e cliccando passasse poi in un pagina con il codice Analytics la sessione verrebbe tracciata come diretta. La causa potrebbe essere anche magare in errata settaggio di Google Tag Manager che non fa “scattare” il codice o del codice custom mal fatto.

    Dal punto di vista di Analytics infatti il primo risultato della sessione sarebbe la seconda pagina visitata, il che significa che il referrer appare come il tuo stesso sito web (cioè un auto-riferimento). Se il tuo dominio è nell’elenco di esclusione dei referral (come da configurazione predefinita), la sessione viene classificata come diretta! Questo accadrà anche se il primo URL è contrassegnato con i parametri della campagna UTM.

    Questo mi è capitato di vederlo anche con un errata configurazione delle cookiebar che bloccava il codice Analytics una volta accettato faceva scattare una seconda sessione bruciandosi di fatto tutti i dati, oltre tutto questo generava anche una doppia sessione.

  • Reindirizzamento improprio
    Questo è facile. Non usare meta refresh o reindirizzamenti basati su JavaScript – questi possono cancellare o sostituire i dati del referrer, portando al traffico diretto in Analytics. Dovresti anche essere meticoloso con i tuoi reindirizzamenti lato server, e – come è spesso raccomandato dai SEO – controllare frequentemente il tuo file di reindirizzamento. Le catene complesse hanno maggiori probabilità di provocare una perdita di dati del referrer, e si corre il rischio che i parametri UTM vengano rimossi.
    Ancora una volta, controllate ciò che potete: usate redirect 301 lato server accuratamente mappati (cioè non concatenati) per preservare i dati dei referrer quando possibile.
  • Redirect HTTPS > HTTP
    Quando un utente segue un link su una pagina sicura (HTTPS) verso una pagina non sicura (HTTP), non passano i dati referrer, ciò significa che la sessione apparirà come traffico diretto anziché come un referral. Si noti che questo è un comportamento voluto, fa parte infatti di come il protocollo di sicurezza è stato progettato, e non influisce su altri scenari: HTTP a HTTP, HTTPS a HTTPS, e anche HTTP a HTTPS passano tutti i dati del referrer.

    Quindi, se il tuo traffico referral è diminuito ma il traffico diretto è aumentato, potrebbe essere che uno dei tuoi principali referrer sia passato a HTTPS mentre il tuo sito sia ancora HTTP. È vero anche l’inverso: se sei migrato a HTTPS e hai dei link verso sito HTTP, il traffico che stai portando a loro comparirà nel loro Analytics come diretto.

    Soluzione: Se siete ancora HTTP vi consiglio caldamente per mille motivi di passare ad HTTPS senza pensarci!
  • Documenti non web
    I link in documenti Microsoft Word, slide deck o PDF non passano le informazioni del referrer. Per impostazione predefinita, gli utenti che cliccano su questi link appariranno nei vostri rapporti come traffico diretto. I clic dalle app mobili originali (in particolare quelle con browser “in-app” incorporati) sono inclini allo stesso modo a eliminare i dati del referrer.

    In un certo senso, questo è inevitabile. Proprio come le cosiddette visite “dark social” (discusse in dettaglio più avanti), i link non web produrranno inevitabilmente una certa quantità di traffico diretto. Tuttavia, avete anche l’opportunità di controllare i controllabili.

    Se pubblicate dei whitepapers o offrite guide PDF scaricabili, per esempio, dovreste etichettare i collegamenti ipertestuali incorporati con i parametri della campagna UTM. Non prendereste mai in considerazione l’idea di lanciare una campagna di email marketing senza il monitoraggio della campagna (spero), quindi perché dovreste distribuire qualsiasi altro tipo di omaggio senza monitorare allo stesso modo il suo successo? In un certo senso questo è ancora più importante, dal momento che questi tipi di download hanno spesso una longevità che non si vede in una singola campagna email. Ecco un esempio di un URL correttamente etichettato che incorporeremmo come link:

    Lo stesso vale per gli URL nei vostri materiali di marketing offline. Per le campagne più importanti è pratica comune selezionare un URL breve e memorabile (ad esempio moz.com/tv/) e progettare una landing page completamente nuova. È possibile bypassare del tutto la creazione della pagina: è sufficiente reindirizzare l’URL di visibilità a un URL di pagina esistente che è adeguatamente etichettato con i parametri UTM.

    Quindi, sia che tagghiate i vostri URL direttamente, sia che usiate i vanity URL reindirizzati o, se pensate che i parametri UTM siano brutti, optate per una soluzione di hash-fragment pazzesca con GTM (leggete qui), il risultato è lo stesso: usate i parametri della campagna ovunque sia appropriato farlo.
  • “Dark social”
    Il termine “dark social” è stato coniato per la prima volta nel 2012 da Alexis Madrigal in un articolo per The Atlantic. Essenzialmente si riferisce ai metodi di condivisione sociale che non possono essere facilmente attribuiti a una particolare fonte, come l’e-mail, la messaggistica istantanea, Skype, WhatsApp e Facebook Messenger.

    Studi recenti hanno scoperto che più dell’80% delle condivisioni in uscita dei consumatori dai siti web di editori e commercianti avviene ora attraverso questi canali privati. In termini di numero di utenti attivi, le app di messaggistica stanno superando quelle dei social network. Tutta l’attività guidata da queste piattaforme fiorenti è tipicamente classificata come traffico diretto dal software di analisi web.
    Le persone che usano l’ambigua frase “social media marketing” si riferiscono tipicamente alla promozione: si trasmette il proprio messaggio e si spera che la gente ascolti. Anche se si supera l’indifferenza del consumatore con una campagna ben mirata, tutte le interazioni successive sono influenzate dalla loro natura. La privacy del dark social, al contrario, rappresenta una potenziale miniera d’oro di interazioni intime, mirate e rilevanti con un alto potenziale di conversione. Per quanto nebuloso e difficile da tracciare, il dark social ha il potenziale di permettere ai marketer di attingere all’inafferrabile potere del passaparola.

    Quindi, come possiamo ridurre al minimo la quantità di traffico dark social che viene classificato come diretto? La sfortunata verità è che non esiste una bacchetta magica: una corretta attribuzione del dark social richiede un rigoroso monitoraggio della campagna. L’approccio ottimale varia notevolmente in base al settore, al pubblico, alla proposta e così via. Per molti siti web, tuttavia, un buon primo passo è quello di fornire pulsanti di condivisione comodi e correttamente configurati per piattaforme private come e-mail, WhatsApp e Slack, garantendo così che gli utenti condividano gli URL con parametri UTM (o URL personalizzati o accorciati che reindirizzano agli stessi). Questo andrà in qualche modo a far luce su una parte del vostro traffico sociale oscuro.